Il 23 giugno del 2016 eravamo tutti convinti di essere all’indomani della vittoria del fronte Remain opposto al Leave nel referendum che ha chiesto ai cittadini del Regno Unito di esprimere la loro volontà di rimanere o meno all’Interno dell’Unione Europea.
I sondaggi davano la vittoria del Remain anche se il partito opposto aveva recuperato terreno, in ogni caso l’unica fonte di reale preoccupazione e incertezza era nel dover ancora conoscere l’entità del distacco con cui si sarebbe affermata la vittoria del fronte Remain e, conseguentemente, accertare quanta leva David Cameron avrebbe potuto avere nei confronti di Bruxells per ottenere accordi più vantaggiosi per il Regno Unito: una percentuale consistente e in crescita dei sostenitori del Leave avrebbe spaventato l’Unione Europea timorosa di un effetto domino. Non è andata così.

Il 24 giugno 2016 il Regno Unito si è svegliato stordito, incredulo e frastornato dalla vittoria del partito Leave. Cameron, che aveva utilizzato lo strumento referendario con l’intento di rafforzare la propria leadership, annuncia le dimissioni, la sua carriera politica è ormai finita: verrà rimpiazzato da Theresa May che proprio in questi mesi sta cercando di portare a casa l’accordo per finalizzare la Brexit. Le ripercussioni politiche, economiche e sociali che questo comporterà sono a tutt’oggi ancora in fase di sviluppo e valutazione sia per gli effetti che avranno sulla Gran Bretagna che per l’Unione Europea e il resto del mondo.

Brexit: An Uncivil War arriva a quasi tre anni dal referendum, non esattamente un instant movie, ma comunque un film che giunge troppo presto per offrire una lettura approfondita ed estesa della portata dell’avvenimento segnato dal referendum: l’autore del film, James Graham, ne è consapevole e la strada scelta per raccontare il 23 giugno è un’altra. Attraverso la figura di Dominic Cummings, lo stratega della campagna a favore del Leave, il film cerca di spiegare come si è arrivati a una vittoria che ha colto tutti di sorpresa, e perché quel come non solo segna una svolta nel modo di gestire la campagna elettorale, ma rappresenta anche un tema controverso ormai imprescindibile da qualsiasi scena politica ed elettorale.

Nel procedere, però, l’autore inserisce un flashforward di fantasia, Cummings che testimonia davanti a una commissione parlamentare per rispondere in merito alle accuse di finanziamenti illeciti e utilizzo illegale dei dati di profilazione degli utenti facebook. Sebbene queste accuse siano reali e sottoposte a investigazione, Cummings non ha mai reso conto di nulla davanti a nessuno.

Il fatto che il gruppo guidato da Cummings abbia probabilmente violato le leggi britanniche sul finanziamento ai gruppi politici, e la conseguente distruzione delle prove che ciò sia avvenuto, sono fatti resi noti da Shahmir Sanni, all’epoca volontario per la campagna Leave.
Nel film non si fa alcuna menzione di manovre equivoche in tema di finanziamento e in merito al modo di operare di AggregateIQ viene semplicemente sottolineato che l’utilizzo dei dati, acquisiti e gestiti dalla società ingaggiata da Cummings, ha aperto l’accesso a un territorio all’epoca inesplorato, lasciando così allo spettatore il compito di intuire o presumere che la gestione dei dati sia stata discutibile.

Nel 2015 Dominic Cummings ha fondato la Vote Leave Campaign insieme a Matthew Elliot. Cummings è un personaggio controverso, i giudizi su di lui da oppositori e alleati coprono uno spettro che va dal geniale e cinico stratega, al pericoloso egocentrico disinteressato o semplicemente incapace di valutare le conseguenze del suo agire. Ma Graham, pur sottolineando la divisività del personaggio, scegliendo Benedict Cumberbatch ha di fatto preso una posizione chiara. L’attore ha ormai il pilota automatico quando si tratta di interpretare un personaggio che butta in faccia la propria superiorità a chi gli sta intorno, e il Dominic Cummings che viene fuori è senz’altro un uomo spregiudicato, ma è altrettanto indubbiamente ritratto come una persona dotata di lungimiranza e acute capacità di analisi. L’abbattimento della quarta parete, ricorrente nel corso del film, instaura infine un clima di confidenza tra lo stratega di Leave e il pubblico: altra scelta che sbilancia la narrazione a favore del punto di vista di Cummings verso cui si è portati quasi a simpatizzare.

Brexit: The Uncivil War si focalizza su due questioni fondamentali: la prima è che il malcontento intercettato dalla campagna Leave, e sottostimato dalla campagna Remain, è un grimaldello che può permettere l’accesso nella coscienza di chi non si è ancora formato un’idea, e di chi si sente ormai abbandonato dalla politica al punto da aver rinunciato da anni all’esercizio del diritto di voto. La seconda è il mostrare come sia finita l’era della politica del porta a porta e del volantinaggio. L’elettorato indeciso o disilluso è stato al centro di entrambe le campagne, ma solo il gruppo Leave lo ha saputo corteggiare in modo convincente e chirurgicamente mirato grazie alla targhetizzazione di messaggi pubblicitari ad hoc: una qualsiasi campagna elettorale del nuovo millennio deve capire che la vita digitale delle persone è fondamentale tanto quella reale.

Il film è dunque un buon punto di partenza per chi desidera avere un’idea di cosa sia accaduto nei mesi precedenti al referendum su Brexit, ma è un prodotto che va affiancato a letture e approfondimenti perché viziato da una scelta artistica, legittima ma parziale, che ha glissato su punti oscuri e fornito una versione addomesticata di Cummings e, soprattutto, di Nigel Farage. Il leader dell’Ukip viene ritratto in modo buffonesco e smargiasso, un utile idiota con cui Cummings non si è voluto associare durante la campagna ma di cui si è servito per il lavoro sporco. L’impatto di Farage sulla vita politica in particolare dei mesi pre-Brexit è però stato tutt’altro che farsesco. Quella di Farage è stata un’opera devastante per via del continuo far leva sugli istinti più bassi delle persone, incitando all’odio razziale e contribuendo attivamente a creare un clima di risentimento nei confronti degli immigrati, situazione degenerata fino all’omicidio della parlamentare Jo Cox attiva nella difesa dei diritti di migranti e rifugiati.

Il film è in definitiva riassumibile in due momenti chiave: Cummings che spiega a un consiglio di parrucconi che il messaggio Leave, per funzionare, deve essere diretto e sfrondato di qualsiasi elemento che ne rallenti l’immediatezza perché le persone devono poter identificare la risposta ai loro bisogni in uno slogan, non in un programma articolato suscettibile di perdere efficacia mediatica. Take back control, lo slogan ideato da Cummings, ne è un perfetto esempio: preciso e diretto alla crescente paura dei cittadini di non avere più controllo sulla propria vita, ma con quel “back” che rimanda a una presunta età dell’oro a cui è possibile poter tornare grazie al voto per Leave.

L’altro snodo fondamentale è rappresentato dal confronto tra Cummings e Craig Oliver, il suo omologo della campagna Remain. Nella scena in questione entrambi devono convenire che quella degli ultimi anni è stata una politica al ribasso in cui l’Unione Europea ha funzionato capro espiatorio, continuamente presentata come l’istituzione esterna e lontana che impediva alla politica nazionale di avere le mani libere per operare le scelte migliori per il Regno Unito. L’impoverimento del dibattito pubblico, e il continuo strumentalizzare i timori delle persone, hanno cresciuto e prodotto una parte di elettorato raggiungibile solo dalle suggestioni più forti piuttosto che dalle argomentazioni migliori.



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Mara Ricci

Serie tv, Joss Whedon, Jane Austen, Sherlock Holmes, Carl Sagan, BBC: unite i puntini e avrete la mia bio. Autore e redattore per Serialmente, per tenermi in esercizio ho dedicato un blog a The Good Wife.

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